Può il condomino proprietario dell’immobile sottoposto ad esecuzione forzata partecipare validamente alla assemblea condominiale?
Ai fini della soluzione della questione giuridica analizzata occorre osservare che l’art. 1136 c.c., riconosce la legittimazione a partecipare all’assemblea, e ad esprimere in essa il proprio voto, ai condomini, e cioè ai proprietari dei piani o delle porzioni di piano di cui si compone l’edificio condominiale, i quali, all’occorrenza, possono farsi rappresentare da persona munita di delega scritta, ai sensi dell’art. 67 disp. att. c.c., comma 1.
Va, altresì, considerato che, a norma dell’art. 586 c.p.c., richiamato dall’art. 590 c.p.c., comma 2, la proprietà dell’immobile sottoposto ad esecuzione forzata passa dal debitore all’aggiudicatario o assegnatario soltanto a seguito della pronuncia del decreto di trasferimento.
La lettura coordinata delle disposizioni normative sopra indicate consente di pervenire a un primo risultato, e cioè che, qualora l’immobile oggetto della esecuzione sia ricompreso in un edificio condominiale, il debitore esecutato conserva la legittimazione a partecipare all’assemblea e alle relative deliberazioni, per la quota millesimale di sua spettanza, fino a quando non sia stato emesso il decreto traslativo, essendo detta legittimazione collegata allo status di condomino, e quindi alla titolarità del diritto dominicale sull’immobile medesimo.
Può tuttavia accadere che giudice dell’esecuzione nomini custode dell’immobile pignorato una persona diversa dal debitore. Si pone allora la questione se, anche in questo caso, il debitore rimanga legittimato a partecipare all’assemblea condominiale fino al momento dell’emissione del decreto di cui all’art. 586 c.p.c., o se, invece, detta legittimazione si trasferisca al custode e, nell’ipotesi affermativa, se tale trasferimento avvenga in modo automatico e generalizzato, per effetto del solo provvedimento di nomina.
Per dare risposta al quesito prospettato, bisogna muovere dalla considerazione che il custode non è titolare di un’autonoma posizione di diritto, ma opera quale ausiliario del giudice, con l’incarico di provvedere alla conservazione e all’amministrazione dei beni pignorati o sequestrati, come chiaramente si ricava dalla disposizione generale contenuta nell’art. 65 c.p.c., comma 1.
In particolare, l’attività di “conservazione” consiste nel porre in essere tutto quanto si renda necessario per mantenere il bene nella sua efficienza e integrità, materiale e funzionale, mentre quella di “amministrazione” attiene alla gestione economica e produttiva dello stesso, concretandosi, ad esempio, nella riscossione del corrispettivo del concesso godimento dell’immobile o nella stipula di contratti di locazione finalizzati a rendere fruttifero il bene in attesa della sua vendita.
In base a quanto disposto dall’art. 676 c.p.c., comma 1 – dettato in materia di sequestro giudiziario, ma da considerarsi espressione di un principio valido per tutte le custodie e amministrazioni giudiziarie di beni, spetta al giudice che nomina il custode stabilire i criteri e i limiti dell’amministrazione.
Proprio in applicazione della citata norma, ben può il giudice dell’esecuzione, se del caso con un provvedimento di carattere generale, impartire direttive al custode, precisando gli incarichi a lui assegnati e il modo in cui questi devono essere svolti (nella prassi giudiziaria le direttive in parola vengono spesso raccolte in apposite circolari); e in proposito giova rammentare che, ai sensi dell’art. 171 disp. att. c.p.c., le autorizzazioni al custode previste dall’art. 560 c.p.c., sono date dal giudice dopo aver sentito le parti e gli altri interessati.
Alla luce della ricostruzione giuridica qui operata, deve, quindi, pervenirsi alla conclusione che i poteri del custode sono quelli derivati direttamente dalla legge o determinati con provvedimento giudiziale, come più volte statuito dlla Corte di Cassazione (cfr. Cass. n. 25278/2020, Cass. n. 11377/2011, Cass. n. 11843/2007, Cass. n. 10252/2002, Cass. n. 7147/2000).
Occorre quindi in ultima analisi vedere se nel caso concreto il giudice abbia assegnato al custode (diverso dal condomino) l’incarico di partecipare alle assemblee condominiali.
In assenza quindi di un’espressa previsione normativa ad hoc, e salvo che il giudice dell’esecuzione abbia fornito sul punto specifiche istruzioni operative, contenute nel provvedimento di nomina del custode o in altro successivo, la partecipazione alle assemblee condominiali non può ritenersi inclusa fra i compiti dell’ausiliario, e quindi il condomino esecutato potrà partecipare validamente alle assemblee condominiali mantenendo il proprio diritto di voto.
Rimane in capo al condomino esecutato la legittimazione a partecipare alle assemblee condominiali, in difetto di una diversa disposizione del giudice dell’esecuzione che oneri il custode di una siffatta incombenza; disposizione che, ove assunta, dovrà essere portata a conoscenza dell’amministratore del condominio (Cass. civ., Sez. II, Ordinanza, 19/10/2023, n. 29070)