Il cliente dice all’avvocato. “Senta ho risolto tutto con la controparte, abbiamo trovato un accordo con reciproche concessioni davanti a dei testimoni, ed abbiamo chiuso la questione. Posso stare tranquillo?”
In tal caso l’avvocato dovrà dire al cliente che purtroppo non potrà dormire sogni tranquilli.
Occorre infatti porre attenzione alla forma dell’accordo.
In base all’art. 1965 la transazione è il contratto col quale le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine a una lite già incominciata o prevengono una lite che può sorgere tra loro.
Con le reciproche concessioni si possono creare, modificare o estinguere anche rapporti diversi da quello che ha formato oggetto della pretesa e della contestazione delle parti.
Quindi un istituto molto utile in quanto le parti, in materia di diritti disponibili, possono risolvere una questione senza dover ricorrere ad un giudice.
Ma ecco che si giunge al nodo della questione: la forma dell’accordo.
L’art. 1967 dispone infatti che la transazione deve essere provata per iscritto, fermo il disposto del n. 12 dell’articolo 1350.
Quindi è essenziale la FORMA SCRITTA per provare l’esistenza di una transazione, non basta che l’accordo sia avvenuto davanti a testimoni.
Nel caso in cui manchi la forma scritta e la controparte non rispetti l’accordo, nel successivo eventuale giudizio non sarà possibile provare l’esistenza stessa dell’accordo con conseguente perdita della causa.
Infatti in giudizio non è tanto importante quello che è avvenuto nella realtà, ma quanto si riesce a dimostrare con le opportune prove.